Il diritto alla salute è un valore che va difeso in ogni sede. Soprattutto istituzionale.
Scelgo il giorno del 25 aprile per raccontare quello che sta accadendo in questi giorni, contestualizzandolo alla follia degli ultimi dieci anni che non sono serviti per guarire la Calabria da un male incurabile che è la mala gestione della sanità. Un contributo per alimentare un dibattito, troppo spesso scadente.
In questi ultimi giorni, due vicende in provincia di Cosenza fanno da sponda ad attacchi politici e strumentali di basso profilo. La protesta a Castrovillari, e nelle ultime ore a Corigliano, per la paventata chiusura dei reparti di pediatria nei rispettivi ospedali a causa della mancanza di medici e all’impossibilità a coprire i turni. In questi ospedali la pediatria è integrata con l’ostetricia e quindi con il punto nascita. E’ evidente che la chiusura metterebbe a rischio anche le nascite. Vista l’emergenza, verificatasi guarda caso con il ponte di Pasqua e del 25 aprile, è stata trovata una soluzione tampone, cioè i pediatri dell’ospedale di Cosenza saranno distaccati per alcune ore attraverso prestazioni aggiuntive (straordinari), per coprire i turni ed evitare il blocco dei ricoveri. Ovviamente è stato necessario un protocollo tra le due aziende l’utilizzazione del personale e il tutto ha un costo. Il conto è salato.
Un medico, già primario della Lungodegenza dell’ospedale di Cariati e poi Trebisacce e quindi dell’Asp di Cosenza, Francesco Lamenza, con un post su Facebook fa i conti, definendo i suoi colleghi “mercenari” perché “percepiscono parcelle aggiuntive di 700 euro lordi a turno (circa 400 euro netti) per 6,40 ore. “Significa – aggiunge – che se facessero minimo tre turni a settimana oltre al turno di servizio nel reparto di appartenenza guadagnerebbero al mese 5000 euro netti oltre ai 3000 dello stipendio.”
Lamenza, che nel 2015 è stato “sfiduciato” dalla Uil perché il personale non voleva seguire le sue direttive (aveva sdoppiato i posti letto di Lungodegenza da quelle di Rsa), svela che a Trebisacce (ci risulta anche a Praia a Mare) accade la stessa cosa con gli anestesisti che supportano i medici dell’Asp per il Punto di primo soccorso. In pratica si pagano gli anestesisti per il supporto ai chirurghi ma non ci sono sale operatorie; In ospedali dove c’è la chirurgia si registrano problemi di carenza. Il conto è di 480.000 euro. La sua soluzione a tutto questo secondo Lamenza? “Dare uno straordinario di 1000 euro al mese” a quei dirigenti medici dei reparti con poco personale e farli lavorare di più, ovviamente per un periodo limitato. Altre soluzioni potrebbero essere quelle di richiamare i medici andati in pensione, ma la legge al momento lo vieta.
Questa vicenda, ma i casi segnalati sono decine in tutta la Calabria, è la prova del mancato governo della sanità calabrese, non si programma e si vive alla giornata. Le responsabilità sono solo in parte da imputare ai vincoli del Commissariamento e del Piano di Rientro, perché questo andazzo c’era prima e dopo il piano di rientro, segno che c’è un problema di governance, impeccabilmente fallimentare. Tutto questi si sarebbe potuto evitare? Sì. Per esempio, se fosse stata varata la riforma, suggerita 3 anni fa e ferma in Consiglio Regionale per istituire aziende uniche ospedaliere, il problema del protocollo non sarebbe sussistito; se fossero nate la Case della Salute (annunciate e finanziate 11 anni fa), la questione sarebbe già stata risolta con enormi benefici economici attraverso l’utilizzo degli 87 pediatri di famiglia e gli altri presenti nei consultori. Se il concorso fosse stato bandito prima e non il 14 maggio prossimo.
Il caso specifico mette in luce un’altra questione molto più complessa di cui hanno consapevolezza solo gli addetti ai lavori.
Il piano di rientro calabrese è stato costruito a tavolino e solo attraverso il commissariamento è stato possibile utilizzare la Regione come cavia per sperimentare quello che poi è diventato il Dm 70 del 2015. Si tratta del decreto ministeriale voluto dal ministro Lorenzin che definisce gli standard ospedalieri rispetto alla popolazione. Il Dm 70 in Calabria è stato applicato con poche deroghe, nel resto d’Italia. Prendiamo la Pediatria come esempio, il Dm 70 fissa tra 150 mila e 300 mila abitanti il bacino di utenza minimo. Atteso che la provincia di Cosenza conta poco più 700 mila abitanti i reparti dovrebbero essere minimo 2, massimo 5. Prima della riforma i reparti abbondavano, oggi sono presenti negli ospedali Spoke di Rossano-Corigliano; Castrovillari; Paola-Cetraro. Cioè dove sono i punti nascita.
Stando al Dm 70, l’ex territorio dell’Asl di Rossano che conta 175 mila abitanti, un reparto di pediatria basta e avanza. A Castrovillari, l’ospedale che copre una popolazione di 70 mila abitanti, la Pediatria potrebbe essere un lusso se non fosse che in quell’ospedale c’è un punto nascita. Stesso discorso si può fare per la zona tirrenica cosentina dove addirittura è il punto nascita da essere a rischio perché i parti sono inferiori al minimo di 500. La domanda è: la pediatria attuale risponde alla domanda di salute dei cittadini della provincia di Cosenza?
E qui c’è un’altra questione che in Calabria viene sottaciuta. La pediatria rappresenta una voce importante della mobilità passiva, in crescita nonostante il calo delle nascite.
L’attuale piano di rientro ha avuto il limite di tagliare personale e quindi risorse a tutte le unità operative complesse, compresa la pediatria e, soprattutto, la chirurgica pediatrica.
Ogni anno circa 9 mila ricoveri pediatrici vengono fatti fuori alla Calabria, parliamo del 15% sul totale dei ricoveri in mobilità passiva per un valore di oltre 20 milioni di euro. In questo campo la prima destinazione è il Bambin Gesù. Presso l’ospedale di Catanzaro negli anni 2012/2014 è stato sperimentato un protocollo proprio con il Bambin Gesù che prevedeva l’affiancamento in ambulatorio e in sala operatoria di specialisti provenienti dall’ospedale pediatrico romano. I risultati sono stati ottimi non solo per la provincia di Catanzaro ma anche per il resto dei territori. I confronto dei dati del 2013 sul 2012 evidenziano un calo di ricoveri fuori dalla Calabria, a partire dalla Sicilia, destinazione dei piccoli pazienti del reggino. Complessivamente il calo è stato dell’8%, ma c’era un dato che doveva all’epoca far riflettere. Nell’Asp di Cosenza, la seconda destinazione per mobilità passiva, dopo il Bambino Gesù, era ed è la Basilicata. Come spiegare questo dato? Semplice, con la chiusura dei punti nascita, le mamme residenti sul Tirreno e l’Alto Jonio vanno a partorire a Policoro e Lagonegro. In questi due ospedali lucani, nel 2016, sono nati circa 380 bambini di genitori non lucani, molti di questi sono calabresi.