Forse non serve un Consiglio dei Ministri, come annunciato dal premier Giuseppe Conte, per risolvere i problemi dell’Asp di Reggio Calabria. Occorre, invece, che la magistratura agisca celermente nei confronti di chi ha saccheggiato le casse dell’azienda; che qualcuno ingaggi persone volonterose, da inserire nei ruoli apicali, per gestire il debito pregresso, tracciando uno spartiacque tra passato e futuro. Il passato, come noto, è fatto di oltre 500 milioni di euro di fatture pagate con il rischio di doppi e tripli pagamenti; altri 300 milioni di debiti ancora da pagare, nonostante la disponibilità di risorse in cassa; Atti ingiuntivi che vanno regolarizzati in contabilità. Il futuro e provare e costruire una sanità “normale” in quel territorio con un sistema di controlli di gestione efficiente.
Tutto questo, comunque, avrebbero dovuto farlo i commissari nominati dal governo che si sono succeduti dal 2010 oggi. In particolare il penultimo, Massimo Scura, a cui il governo aveva assegnato proprio questo obiettivo, fallito miseramente.
Scura aveva nominato un consulente esterno, Pietro Evangelisti, noto per lo stipendio di 600 euro al giorno, per trovare il bandolo della matassa, ma dopo pochi mesi si è sfilato. I rischi, forse, non valevano i 600 euro quotidiani.
Sull’Asp di Reggio si è assistito ad un rimpallo di responsabilità tra Scura e il presidente Oliverio. Il 19 e il 20 settembre è andato in scena un faccia a faccia a distanza in commissione Igiene e Sanità del Senato con il commissario ad un certo punto ha sostenuto che l’ospedale di Locri è in quelle condizioni perché si trova lì in Calabria. Fosse stato al Nord sarebbe stata ben altra cosa.