La sanità calabrese può svoltare a queste condizioni: rigorosa lotta agli sprechi e aumento della produttività. Esperti, medici ed ex manager ne sono convinti e approvano l’idea una diversa organizzazione dei servizi sanitari, attraverso un’unica azienda territoriale e un’unica azienda ospedaliera nelle aree Nord, Centro e Sud della Calabria.
Su un punto però bisogna essere chiari fin da subito: ciò non può passare come il tentativo di contenere i costi attraverso economie di scala, perché nelle funzioni cliniche i costi sono fissi e non c’è alcun risparmio. Semmai ci può essere una maggiore produttività del pubblico, quindi una maggiore risposta alla domanda di sanità e una riduzione della mobilità fuori dalla Calabria che oggi vale oltre 300 milioni di euro all’anno.
La riforma è impantanata in Terza Commissione del Consiglio Regionale presieduta da Michele Mirabello del Pd. I consiglieri si dividono su due proposte di legge, quella di iniziativa popolare promossa da esponenti del Movimento 5 Stelle che ricalca una proposta della scorsa legislatura a firma dei consiglieri regionali di centrodestra Gianpaolo Chiappetta, Claudio Parente e Nazzareno Salerno, ma vergata da Gianluigi Scaffidi, all’epoca dirigente di settore al Piano di rientro con Scopelliti commissario della sanità e dal medico Tullio Laino. Dal 2015, Scaffidi è l’ideologo del Movimento 5 Stelle calabrese sui temi della salute. La giunta regionale, invece, ha presentato un provvedimento che incorpora nei tre ospedali hub di Cosenza, Catanzaro e Reggio solo gli ospedali Spoke, mentre gli ospedali generali rimangono nelle Asp. Un “pasticcio”, secondo il presidente dell’ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni. Invece la proposta di iniziativa popolare che integra tutti gli ospedali contiene un vulnus, è lacunosa perché lascia fuori dalla programmazione e pianificazione dei servizi le cliniche private accreditate che, con la riforma del 2012, hanno tutte aree chirurgiche, alcune anche di peso.
Sulla riforma abbiamo sentito due ex direttori generali dell’Asp di Cosenza, un chirurgo che ha già sperimentato sul campo l’integrazione delle funzioni cliniche con ottimi risultati, e il presidente dell’ordine di medici di Cosenza che avverte sui rischi di una riforma di queste portate.
Franco Petramala è stato direttore generale dell’Asp di Cosenza subito dopo dl’accorpamento delle ex Asl di Paola, Castrovillari, Rossano e Cosenza. Dice che la riforma è utile se porta al potenziamento della medicina territoriale.
Per Gianfranco Scarpelli- direttore generale dell’Asp di Cosenza tra il 2012 e il 2014, gli anni della chiusura degli ospedali a causa del piano di rientro- l’accorpamento è più che positivo, in questo modo si riescono ad abbattere liste di attesa ed evitare il caos nei pronto soccorso degli ospedali Hub come Cosenza
Sebastiano Vaccarisi, chirurgo dell’Annunziata, specializzato in trapianti nelle patologie Epato Bilio Pancreatiche, nel 2013 ha sperimentato l’integrazione funzionale tra l’ospedale di Cosenza e di quello di Acri per ridurre le liste di attesa e migliorare le produttività. Sentite quali sono stati i risultati
E’ molto cauto, invece, il presidente dell’Ordine dei Medici di Cosenza, Eugenio Corcioni. “La mala politica – avverte – può portare a considerare gli ospedali di periferie la punizione per quei medici non allineati con chi tiene il potere in quel momento storico”
Di questa proposta condivisa ed amplificata con la messa in rete di tutte le strutture clinicizzate pubbliche ed accreditate, si sta sottovalutando la reale importanza, ovvero, di omogeneizzati servizi clinici ed unificare tutto il personale in attività, senza ricorrere per il momento ad autorizzazioni o concorsi che subito dopo la razionale necessità potranno partire