Tre grandi aziende territoriali e tre grandi ospedali, al Nord, al Centro e al Sud della Calabria. E’ la riforma che giace in consiglio regionale e su cui la politica torna a dividersi. Già nel 2007 quando si decise di accorpare le 11 Asl in 5 Aziende provinciali lo scontro fu duro. Ad inizio legislatura il presidente della Regione Mario Oliverio fece trapelare l’idea di creare un’unica azienda sanitaria regionale riprendendo un’idea del 2004 dell’assessore regionale del tempo Gianfranco Luzzo.
In ogni caso è bene mettere un punto fermo: una dimensione ideale del numero delle aziende sanitarie non esiste e nemmeno si può immaginare di farla con un tratto di penna. Il 22 marzo del 2015, esattamente 4 anni fa per il Quotidiano del Sud, intervistai il professore Corrado Cuccurullo, professore associato alla Seconda Università di Napoli in Economia Aziendale e autore di diverse ricerche in materia sanitaria tra cui “La dimensione ideale dell’Azienda tra economie di scale, logiche di governo e corporate identity” presentata a giugno 2013 alla Fiaso, la Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere, insieme a Mario Del Vecchio.
«Attenzione al gigantismo delle aziende sanitarie – disse il professore – perché alle razionalizzazioni sono associati dei costi nascosti che spesso non si vuole vedere.”
Cuccurullo è uno studioso della materia, lo fa da diversi anni con pubblicazioni di ricerche autorevoli. La ricerca presentato due anni fa è stata fatta sul campo, ha coinvolto decine di aziende sanitarie italiane e l’Agenas.
«Al Sud sono diverse le motivazioni per spingere chi governa una Regione a ridurre le aziende. In primo luogo, spiegò il docente, «spesso si pensa di comunicare un cambiamento radicale della gestione della sanità» con l’effetto deleterio che «non si tiene conto dei costi nascosti». E poi «c’è il rischio di annacquare i risultati positivi e negativi delle singole aziende facendo sì che nessuno si assuma la responsabilità delle cattive gestioni aziendali». Il professore cita casi concreti avvenuti in Campania negli anni scorsi a seguito degli accorpamenti. L’errore della politica, spiegò il professore, è che «si pensa sempre ai benefici e mai ai costi, l’accorpamento di 5 aziende a 1 non lo si fa dall’oggi al domani, ci sono sistemi da cambiare, procedure e tutto questo ha un costo.» Cuccurullo citò non a caso l’Asp di Catanzaro finita nello studio, nata dall’accorpamento dell’Asl di Catanzaro e Lamezia, dove si è constatato che «non c’è stata integrazione», quindi di quella riforma del 2007 non si sono visti ancora gli effetti. «Invece – dice – ci sono dinamiche che vanno governate, non si possono fare riforme su un foglio bianco». «Nei nostri contesti – aggiunge Cuccurrullo – gli accorpamenti vengono proposti anche con la motivazione di snellire la governance del sistema: un conto è avere un direttore generale un altro averne 15 o 8. Ma procedere pensando a ridurre i costi della politica è sbagliato. La verità è che oggi il tentativo di contenere i costi attraverso economie di scala non è percorribile nelle funzioni cliniche perché i costi sono fissi». Secondo Cuccurullo è possibile risparmiare solo con le “funzioni non cliniche” come amministrazione del personale, formazione, appalti, acquisto di beni e servizi. Obiettivi che si possono raggiungere con strumenti come la Centrale unica degli acquisti o la Stazione unica appaltante (peraltro già operativa in Calabria, introdotta dalla giunta Loiero).
«Invece – spiegò il prof – si possono ottenere benefici sulle funzioni cliniche se si integrano ospedali Hub con ospedali Spoke all’interno di poli sanitari. In sintesi «bisogna far collaborare le aziende ospedaliere nell’erogazione dei servizi, facendo aumentare i volumi delle prestazioni, si riesce a dare un servizio migliore e più efficiente ai cittadini e abbattere i costi totali della sanità». Da ciò ne può derivare una riduzione dei costi attraverso una razionalizzazione della spesa ed un abbattimento degli sprechi.”